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O capitano, mio capitano

L'attimo_fuggente

Nel primo incontro tra i formatori del CNOS FAP e il nuovo direttore della casa don Luca Barone si è parlato parecchio. Di salesiani, di formazione, di limiti da superare. Avremo modo di parlarne su questo blog.
Tra le altre cose don Luca ha condiviso con noi il saluto che Alessandro D’Avenia sulla Stampa ha voluto dedicare al compianto e geniale Robin Williams, scomparso l’11 agosto di quest’anno: un saluto all’attore ma anche un ricordo del personaggio di John Keating ne l’Attimo Fuggente: un formatore ‘salito in cattedra’, ma non nell’usuale accezione negativa.

Arrivederci Robin, grazie del tuo verso

C’è un tempo della vita in cui la pelle e la carne si slabbrano per poter coprire lo spirito che finalmente si stira, all’alba della consapevolezza della propria libertà e unicità (checché ne dicano i minimalisti dell’esistenza, nessuno ha mai avuto né mai avrà le impronte digitali uguali alle mie). Quel tempo, d’ebbrezza e dramma insieme, inizia con l’adolescenza, che per questo è una stagione vorace di storie che costituiscono veri e propri momenti di epifania: l’evidenza di ciò che il futuro potrebbe regalarci, come il tempo che corre tra il primo sguardo di una coppia e il loro primo figlio. A contatto con modelli (persone portatrici di storie che risvegliano la nostra) sentiamo aggregarsi le nostre forze e speranze verso una meta che unifica passato presente e futuro in un unico attimo, non fuggente. Così mi è accaduto, quando avevo 16 anni, di decidere di diventare professore. I modelli che hanno chiamato a raccolta le mie forze e le mie speranze sono state tre storie, due in carne e ossa (un insegnante di italiano, Mario Franchina, e uno di religione, padre Pino Puglisi), una sullo schermo: il professor Keating dell’Attimo Fuggente, interpretato da Robin Williams, con quella grazia che quasi solo una volta un attore raggiunge nella sua carriera. 

Per questo, alla notizia della morte di Keating-Williams mi sono sentito un po’ orfano. Non c’era più il volto di quel personaggio, incontrato per caso una sera primaverile del 1993, facendo zapping, alla ricerca dell’ennesima scusa per non fare i compiti. Mi ricordo ancora quel professore che chiede ai suoi studenti, con le parole di Whitman, che verso aggiungeranno al poema della vita. Mi identificai sia con gli adolescenti alla ricerca tumultuosa dei loro talenti e passioni, frustrati dai loro limiti e fragilità, sia con l’insegnante carismatico che di quei talenti era provocatore, colui che chiama al coraggio e alla libertà chi entra nel raggio d’azione del suo carisma (parola che deriva da grazia e non da narcisismo). Sono rimasto in silenzio a fissare i titoli di coda (mai fatto prima). Quella notte non dormii. Mi ripetevo: io voglio essere come quello lì, io voglio fare questo nella vita. Il presente mi si riempì di futuro e divenne mio. Senza storie siamo analfabeti di futuro e chi è privo di futuro perde anche il presente, e dorme sonni troppo tranquilli. 

Ieri mi sono sentito orfano non tanto di quel tipo di professore, che nella narrazione mostra una pedagogia talvolta zoppicante (narcisistica, emotivista, simbiotica con gli studenti), ma del modello rappresentato. Non «modello» come lo intende la cultura dominante (la star) che abbaglia generando solo imitazione, ripetizione, scimmiottamento e quindi passività, ma il modello che provoca, mette in crisi, accende, sveglia il nocciolo più autentico della persona: il desiderio di mettersi in gioco in prima persona, di realizzare la propria unicità per metterla al servizio altrui, di non sclerotizzarsi su copioni scritti da altri, ma appunto di aggiungere il proprio verso al grande poema della vita in cui siamo capitati, come una nota, che lo si voglia o no, insostituibile. Il vero modello non schiaccia le possibilità di chi lo ammira, ma le risveglia, libera, dilata, spingendo verso risoluzioni proprie. Questo è il carisma, quella grazia (charis), capace di far sgorgare la vita negli altri, a partire da quella che sgorga in noi. 

Robin Williams nella parte di Keating diede un volto a quel «modello». A 16 anni, guardando quel volto, sentii le mie forze chiamate a raccolta e un’ipotesi di futuro, tutto da costruire, ma più che mai presente e reale. Non ho idealizzato Keating, per fortuna, altrimenti avrei fatto molti più danni a scuola, ma ho semplicemente compreso che l’insegnante, capace di mettere in moto libertà e unicità dei ragazzi, attraverso le cose che amavo studiare e le storie che volevo raccontare, era il modello di professore che mi interessava essere. Ancora oggi ne sono convinto e non me ne sono pentito, il mio sogno di sedicenne è ancora intatto, dopo 14 anni di scuola. 

Anche se il demone del vuoto, dei fallimenti, degli errori, della solitudine, delle dipendenze, ti ha forse asfissiato nei tuoi ultimi istanti, nessuno potrà toglierti il merito di aver donato il tuo volto a personaggi che, in qualche modo, ci hanno cambiato. Se non addirittura, chiamato.